Traduzione latina delle anacreontiche di Giacomo Vittorelli e dei sonetti scelti dello stesso scrittore, d' Onofrio Minzoni, di Pietro Metastasio, di Stefano Benedetto Pallavicini, di Benedetto Menzini, di Francesco Puricelli, d' Eustachio Manfredi
fatta da Antonio Sivrich
di cui pur sono le poesie poste nella fine di questo libro: dove s'incontrerà tradotta altresì la seconda Anacreontica di Ludovico Savioli Fontana
Ragusa presso Antonio Martecchini MDCCCIII.
[Page]

PREFAZIONE.

Quanto è squisito il piacere, che recano i buoni Sonetti, altrettanto è grave il tedio, che producono i difettosi. Anzi dove s’incontrano questi confusi con quelli, quel che c’è di vizioso negli uni suole infastidirci a segno, che non assaggiamo piu quel che v' è di buono negli altri. Il diletto viene distrutto per così dire dal disgusto, e la soavità rimane oppressa da un amaro veleno. Non così succedeva a Tantalo, il quale se non toccava i buoni frutti , non era obbligato almeno a mangiarne degli aspri, ed avvelenati.

Non può ben dunque concepirsi sin a qual segno sia capace d’allettarci il bello di tali componimenti, se non vengono scelti, separati, e schierati da parte i buoni; onde si vegga brillar liberamente, e svilupparsi il loro splendore, senza essere avvilito, ed offuscato dalla caligine , e dalle macchie. Per questo motivo mi sono proposto di scegliere i migliori tra quelli, che furono pubblicati in italiano . Se io sapessi sceglierli veramente bene, Giovanni de la [p. 4] Bruyere mi loderebbe assai; il quale disse, che ‘choisir c’ est inventer’, cioè a dire , che lo scegliere è un inventare. Comunque sia bramerei , che questa scelta potesse meritare il nome di scelta; affine di promuovere quel salubre, delicato, e prezioso piacere, che somministra la poesia , dono sublime , e generoso, che il Cielo ha saputo concedere agli uomini.

Io ammetto quei Sonetti, che sono scherzevoli , e spiritosi a guisa di certi Epigrammi , ovvero quelli, che sanno porgere una certa unzione allo spirito, e non altri. Senza una di queste due doti non mi sembra già , che possano essere di grande preggio. Questo sia detto in genere. Sarei in caso , quando occorresse, d' assegnare in particolare la ragione rispettiva, per la quale ho escluso qualsisia di quelli, che ho creduto a proposito d’escludere. Questo però formerebbe non già l’ opera , che faccio; ma bensì un altra, che io non prometto d’intraprendere. Mi piace più esercitarmi a lodare di quello che a criticare . Qui si tratta d’ impiegare una maniera la più sicura, e la più efficace per aguzzare, e svegliare quell’ appetito , che gli uomini tutti naturalmente hanno per il bello , e per il buono; ma che suole [p. 5] purtroppo addormentarsi, o rendersi ottuso in essi, e questa maniera consiste appunto nel raccogliere insieme, e mettere in vista questo bello, e questo buono; onde possa produrre vive impressioni; le quali da nessuna altra cosa vengono tanto disturbate, e soppresse, quanto dal brutto, e dal guasto, che faccia nell’ istesso tempo delle impressioni opposte.

Questi Sonetti saranno accompagnati dalla traduzione latina. Ho atteso a renderla fedele; ho atteso ciò non ostante a renderla tale , che tutto sembri nato dalle viscere stesse di quella lingua , nella quale traduco; ho atteso a mettere in contrasto le forze della lingua latina con quelle dell’ italiana; ed essendo immenso il bello, ed immense le sue modificazioni , ho atteso, che il mio stile nè Catulliano precisamente fosse, nè Tibulliano, nè Properziano, nè Ovidiano, ma vario, ed appropriato all’ indole varia degli argomenti, di cui tratto. Questo è stato il mio dissegno; i savi Lettori giudicheranno, se ho saputo adempirlo.

Talvolta nelle note propongo qualche cambiamento del testo; perché un sol neo è capace togliere molto del preggio ad un bel Sonetto. Ma questo io faccio, [p. 6] quando ho genio di farlo, ne intendo contrarre l’ obbligo di farlo sempre.

Tutta questa scelta sarà divisa in vari libretti; in fine dei quali potrà avere luogo qualche altra mia poesia. Non porteranno il titolo di tomo primo, nè secondo; giacchè intendo, che ciascuno faccia un opuscolo separato. Ma capitando che io dia altre cose in luce , darò sempre un’ indice delle cose antecedentemente stampate col mio nome.

Attualmente presento un certo numero di Sonetti ricavato da alcuni autori, che ne hanno scritto pochi. Porgo pure la traduzione delle Anacreontiche di Vittorelli , le quali tutte hanno dell’ Epigrammatico. Non avrò difficoltà d’ inserire tra i Sonetti, quando si darà l’ occasione , anche i Madrigali, o altro genere di corte composizioni. Ciascun Sonetto avrà il suo titolo , affinché l’attenzione s' impieghi tutta quanta a gustarlo, senza perdere il tempo a indagare di che tratta. Quando tal titolo sia tralasciato dall’ autore, e venga proposto da me, porterà il seguente segno. {❦} Gradisca il pubblico , e gradiscano gli amici miei la Dedica, che intendo lor fare di queste mie occupazioni.

pagina 8
Cinto le bionde chiome
De la materna rosa
Su l' alba rugiadosa
Venne il fanciullo Amor:
E co la dolce bocca
Mi disse in aria lieta:
Che fai, gentil Poeta,
D' Irene lodator?
Questa nevosa penna
Di cigno innamorato
Sul desco fortunato
Io lascio in dono a te.
Solo conviene a questa
Di celebrare Irene:
A questa sol conviene
D' esprimer la tua fe.
pagina 9
Rorifero surgente die mea tecta subivit
Parvus amor cinctus tempora pulchra rosis.
Blanda voce mihi, vates, qui carmine molli
Irenem celebras quid facis, inquit amor?
Hanc tibi do pennam cygni exposcentis (1) amicam;
Hac sola Irenem te celebrare decet.
pagina 8
Vegliai la notte intera
Su le nojose piume.
Fin che il diurno lume
Si fece riveder:
E mi levai che il sole
Con l' inquieta sferza
Guidava a l' ora terza
I rapidi destrier.
Per doppia febbre ardente
Il tuo poeta or langue:
Una m' entrò nel sangue,
L' altra nel cor m' entrò
Tu brameresti estinto
Il foco de le vene;
Ma l' altro foco, o Irene,
Lo brami estinto? Ah no.
pagina 9
Insomnis tota vigilavi nocte, molesto
Languida nec potui membra levare toro.
Conspexi lucem, licuitque recedere lecto,
Cum fuit a Phaebo multa peracta via.
Febre agitor gemina; quam morbidus intulit aer,
Viribus herbarum febris abire potest;
Quam produxit amor, non est medicabilis herbis:
Posset at, Irene, munere abire tuo.
Tollere quam nescis, velles mihi tollere febrim;
Tollere quam scires, tollere saeva negas.
pagina 10
Io non invidio i fiori
Al molle Anacreonte:
Si vaga rosa in fronte
Esso non ebbe un dì.
Questa non è del campo
Ignobile fatica.
La nostra dolce Amica
Di propria man la ordì.
Ne gli orti d' Amatunta,
Credilo, Irene mia,
Natura non avria
Saputo far di più.
A rosa così bella
Cedano l' altre rose,
Fuor che le due vezzose,
Che ne le guance hai tu.
pagina 11
Non Tej vatis flores ego lavdo, nec ipsos
Invidus exposco: nam rosa nulla caput
Illius ornavit, qua non praestantior haec sit;
Hanc non eduxit rustica cura rosam;
Sed propriis fecit manibus mea dulcis amica;
Nil melius Veneris ferre vireta queunt.
Flos tamen hic roseum nescit superare colorem,
Lucent, Irene, quo tibi, pulchra, genae.
pagina 10
Stamane per vederti,
O bella Irene mia,
La consueta via
Mi piacque a calcar.
Io raddopiava il corso
A le veloci piante,
E il tuo gentil sembiante
Sperava contemplar.
Ma non ebb' io fortuna
Avventurosa e destra:
La solita finestra
Negommi il tuo splendor.
Perchè, vedendo l' ore
Al mio cammin prefisse,
Perchè non te lo disse
Quel cattivel d' Amor?
pagina 11
Tramite me solito mea pergere vota jubebant,
Dum cupio Irenem mane videre meam.
Speravi dulcem procurrens cernere vultum,
Cernere nec potui, sors mihi laeva fuit.
Spectabam cupidus solito de more fenestram;
Nec sese objecit splendida forma mihi.
Qua venturus eram, quid non tibi dixerat horam,
Tam bene quam poterat scire, dolosus amor? (a)
pagina 12
Ecco di Gnido il tempio,
Ecco le aurate porte:
In così dubbia sorte
Non voglio più languir.
Tu, che amicizia, e fede
Ti vanti di serbarmi,
Giura su questi marmi
Giura di non mentir.
Ma guarda ben che il loco
A i giuramenti è sacro;
Che questo è il simulacro
D' un nume punitor.
Guarda che se il tuo core
Al labbro non risponde,
L' aria, la terra, e l' onde,
Vendicheranno Amor.
pagina 13
Hic Gnidus, en sacras portas, en aurea templa;
Tam dubiae sortis nolo timere vices.
Has mihi amicitiam nitidas promittito ad aras,
Namque tuam dicis labe carere fidem.
Impune hoc nequeunt perjuria laedere templum;
Hoc signum scito vindicis esse Deae.
Non aer, non unda tibi, non littora parcent,
Nunc si voce tua decipiatur amor.
pagina 12
I carmi lodatori
Fille a richieder viene,
Ma i carmi son d' Irene,
E Fille non gli avrà.
Io posso dare a lei
Tenere erbette, e fiori,
Ma i carmi lodatori
Non posso, e Amor lo sa,
Per tutte l' altre Belle
Mi tace fra le dita
La cetra ammutolita,
E nega di cantar:
Ma per la bella Irene
Tosto risponder s' ode,
E mille volte gode
Quel nome replicar.
pagina 13
Phillida queis celebrem, nequicquam carmina Phillis
Postulat; Irenem carmina nostra canunt.
Accipiat flores, sive herbas Phillis olentes;
Carmina non tradam, sit mihi testis amor.
Haud alias celebrat, sed vult haec muta manere,
Vel solam Irenem concelebrare chelys.
Protinus Irenes laudato nomine plaudit,
Jamque silere die, nocte silere negat.
pagina 14
Pace: su questo altare
Una colomba uccido,
Ardo l' incenso, e grido:
Pace, cortese Amor.
Pace: la bella Irene
È sorda al nostro pianto.
Cessi deh cessi alquanto
L' indebito rigor.
Tu mi ponesti a i labbri
Il calice dorato,
Ma un sorso avvelenato
Il primo sorso fu.
Ben misero e infelice
Io nacqui, se mi tocca
Con tanto amaro in bocca
Passar la gioventù!
pagina 15
Parcito amor; thuris do munera, parcito clemens,
Irenem fletus non tetigere mei.
Has aras veneror supplex, ferioque columbam;
Parce amor; immeritam comprime saevitiem.
Aureus ille calix primo me perdidit haustu,
Praebuit ignaro quem tua dextra mihi.
Quid me vita juvat, cui tam nocet aegra juventus;
Os cui tam tristis laedit amarities?
pagina 14
La terza notte è questa,
Che il sonno, oh Dio! mi lascia,
Che da l' interna ambascia
Non posso respirar.
L' imago di due sguardi
Infidi e menzogneri
Su i placidi origlieri
Mi viene a funestar.
So, che pietà verace
Sente del mio dolore
Chiunque nutre in core
Sensi d' umanità:
Ma, se pietà non sente
La bella e cruda Irene,
Che giova a le mie pene
Tutta l' altrui pietà?
pagina 15
Deficio, vigilem me nox jam tertia cernit;
Mordacem curam non levat ulla quies.
Fallaces oculi me vestra fatigat imago;
Et somnum molli cogit abire toro.
Me luget, luctuque meo, paenisque movetur,
Robore qui non est durior, et silice.
Quid prodest alios nostro maerore moveri,
Irenem saevam tangere dum nequeo?
pagina 16
Recidasi il tuo nome
Da i faggi, e da gli allori.
Quegli occhi traditori
M' ingannano: lo so.
Credevi forse, o Bella,
Schernire a lungo un Vate?
La lingua de le occhiate
Euterpe m' insegnò.
Ne le amorose scuole
Discepola, e maestra
Essa raffina, e addestra
I giovani Cantor.
Oggi per lei conosco
L' arti, e le insidie appieno
E veggoti nel seno
Che non è mio quel cor.
pagina 17
Non lavrus, fagusve tuo me nomine captet;
Exosas ferrum cogat abire notas.
Me frustra vultu simulato, perfida, mulces;
Sperabas vatem fallere posse diu.
Callidus ex oculis animum cognoscere possum;
Hanc artem Euterpe tradidit ipsa mihi.
Quae dictavit amor, didici documenta, poetas
Admonet ipsa novos, ipsa magistra docet.
Te non esse meam, nequeo nescire, nefanda
Jam fravs Euterpes munere tota patet.
pagina 16
Dischiusa è la finestra,
E il Sol co' raggi lieti
Indora le pareti
Del sacro camerin.
Me lo predisse il core,
E il core non inganna:
La bella mia tiranna
E' risanata al fin.
Svanì l' acuta febbre,
E il pianto del mio ciglio.
Rimosse ogni periglio,
E i giusti Dei placò.
Volean punir quell' alma
Sì barbara e indiscreta;
Ma al pianto d' un poeta
Resistere chi può?
pagina 17
En Phoebus radiis Dominae penetralia lustrat;
En splendet multa luce fenestra patens.
Mens mea corde metum quamvis agitata fugabat;
Plurima praedicit, plurima cernit amans.
Ireni parcet morbus mens praescia dixit,
En valet; haud illam febris acuta premit.
Ipse meis lacrymis placavi sidera; flente
Me propulsarunt cuncta pericla Dij.
Saevitiem Dominae mulctabant numina; sed vim
Non parvam lacrymae vatis amantis habent.
pagina 18
Se vedi che germoglia
Ne' più silvestri dumi
Al foco de' tuoi lumi
O rosa, o gelsomin:
Se un dolce zeffiretto
Ad incontrarsi viene,
E gode, o bella Irene,
Di sventolarti il crin:
Se rinverdisce un' erba
Lungo il sentiero, e chiede
Al tuo leggiadro piede
Un' orma sola in don;
Sappi, vezzosa Ninfa,
Che per virtù d' Amore
Quel zeffiro, quel fiore,
E quella erbetta io son.
pagina 19
Si rosa, quam cernas, ridens revirescit, et halat;
Sit licet hirsutis undique septa rubis;
Si zephyrus gaudet ludens occurrere eunti,
Et tibi si pulchram vult agitare comam;
Si dum prata premis, mox herbam surgere spectas,
Formoso tangi si cupit herba pede;
Ludenti zephyro similem me vivere, et herbis,
Meque rosae similem vivere jussit amor.
pagina 18
Lascia, che questo labbro,
O Irene mia, lo dica:
T' amo, vezzosa Amica,
Quanto si possa amar.
pagina 19
Vera loqui, sit fas, Irenem diligo; nemo,
Dulcis amica, magis diligit ex animo.
pagina 20
Spesso a narrare intesi,
Che il vedovo poeta
La tigre immansueta,
Ed il leon placò:
pagina 21
Maerentem Orpheum saevos flexisse leones,
Flexisse et tigres carmine fama refert.
pagina 20
Da l' invocato sonno
pagina 21
Jam valeo, jam membra vigent, solitoque colore,
pagina 20
Fingi, vezzosa Irene,
pagina 21
Formosam Irenes faciem levis asperet ira,
pagina 20
Ecco ritorna il mese
pagina 21
Qui vallem, et collem, camposque virescere cogit,
pagina 20
Seppi, che al dubbio lume
pagina 21
Te scio, lanigeras duxisse in prata bidentes,
pagina 20
Irene, siedi a l’ombra
Di questo ameno faggio,
E copriti dal raggio
De l’infocato Sol.
Ogni agnellino intanto
Pascolerà tranquillo
La menta ed il serpillo,
Di cui verdeggia il suol.
Ma leva da la fronte
Il cappellin di paglia....
Chi mai, chi mai t’agguaglia
In grazia ed in beltà?
Gitta il cappel su l’erbe,
E lasciati vedere....
Pupille così nere
Venere in ciel non ha.
pagina 21
Irene, fagi dulces has conside ad umbras,
Dum fugere infesto solis ab igne juvat.
Interea teneris agni pascentur, et agnae
Graminibus , quorum hic copia multa viret.
Quem geris e palea, nunc tu depone galerum;
Quis tibi se forma praedicet esse parem?
Deposito nigros oculos ostende galero;
Tam nigros oculos non habet ipsa Venus.
pagina 20
Lucido vago io mando
pagina 21
Vas tibi odorifero repletum mitto liquore
pagina 20
Ascolta, o infida, un sogno
pagina 21
Nox elapsa mihi tulerit quae somnia, dicam!
pagina 28
Guarda che bianca luna!
Guarda che notte azzurra!
Un' aura non susurra,
Non tremola uno stel.
L'usignuoletto solo
Va dalla siepe all'orno,
E sospirando intorno
Chiama la sua fedel.
Ella, che il sente appena,
Già vien di fronda in fronda,
E par che gli risponda:
Non piangere: son qui.
Che dolci affetti, o Irene,
Che gemiti son questi!
Ah! mai tu non sapesti
rispondermi così!
pagina 21
Caeruleos caeli tractus, noctemque serenam
Aspice. Quam puro candida luna nitet
Lumine! nec frondes ullis agitantur ab avris;
Cuncta silent; tantum flet Philomela vocans
Conubii sociam, viridi dum sepe relicta
Ornum adit. Ut voces audiit illa sui
Conjugis, in frondes absenti e fronde propinquas
Fida volat: quid fles? dicere visa fuit,
En propero: o pulchrum, quem sic testantur, amorem!
Quam dulces gemitus mutua flamma parit!
En propero, Irene, nunquam vis dicere; amoris
Ah mihi das nunquam pignora certa tui.
pagina 20
Siedi, mi disse Amore,
pagina 21
Nuper laetus amor dixit mihi, conside mecum
pagina 20
Aveva due canestri
pagina 21
Praebuit Ireni varios mea dextera flores,
Caeruleo plenum flore dedit calathum;
Et dedit, albenti, calathum, qui flore nitebat. Note: 12
Quale tuus vertex non habet, alma Venus,
Irene sertum componere daedala caepit,
Quod fixo cupidus lumine conspiciens,
O vere felix tali qui munere , dixi,
Dignus erit! ridens illa nihil retulit,
Spemque dedit nullam; perfecto denique serto
Sertum crine geras hoc, ait, ipse tuo .
pagina 20
Pur t' afferrai nel collo,
pagina 21
O Satyre, arrepto teneo te denique collo;
Non rapiet nostris te fuga de manibus .
Haec te mulctabit fustis, tibi donec ab armo
Prosiliat sanguis. Carpere tene meos
Conspexi lauta pendentes vite racemos
Ungue fero? Has uvas, o scelerate, scias
Ireni placuisse meae, cui tradere dono
Has uvas uni me voluisse, scias.
Incassum timida purgas te voce; furorem,
Quo semel exarsit , ponere nescit amans.
pagina 32
La vidi (oh che portento!
pagina 33
O genus eximium pulchri, mirumque decorem!
Glauca chlamys corpus picta tegebat acu.
O Venus, hanc spectans ego te spectare videbar:
Candidior gemma, vividiorque rosis
Illa fuit . Quasdam voces mihi protulìt: ah mens
Has nunquam posset non meminisse mea .
Sed carui sensu, voces ut protulit, aeger
Mox cecidi , nec vim non rapiebat amor. Note: 13
Num dulces fuerint voces, quas protulit, aurae,
Dicite, num dulces, dicite, non fuerint?
At mea damna nimis timeo; si grata fuissent,
Mulcerent animum nunc quoque verba meum.
pagina 32
Zitto. Que' due labbrucci,
Che vagliono un tesoro,
Finissimo lavoro
De l’ Acidalia man ,
Veggoli un tratto aprirsi
In armonia celeste .
Ecco di gioia agreste
Ridono i colli e il pian.
L’ aura non move fronda;
L’erbe si fan più verdi...
Oh, Amore , oh quanto perdi
A non ferire un cor!
Se quella rosea bocca
Fosse a i sospiri avvezza,
Chi mai con più dolcezza
Si lagneria d' amor?
pagina 33
Quae propria Venus alma manu formasse videtur
E labijs cantus aethereos referens
Vox exit; nemo nunc hiscat; gaudia colles,
Haec vox dum resonat, prata, nemusque beant.
Mobilis avra silet, revirescunt gramina: quid non
Premere de pharetra tela, Cupido , libet?
Quae mora te cohibet? Feriant tua tela canentem;
Quid cessas? Feriant, praemia magna feres. Note: 14
Ducere si roseo suspiria disceret ore,
Ducere quam dulci disceret illa sono!
pagina 34
I primi fior son questi
Del Maggio, che ritorna.
Prendili , e te ne adorna ,
Ninfa gentile , il sen.
Io sempre a’ Dei del bosco
Gli offriva in Primavera,
Ma Irene allor non era
L’ idolo di Filen.
No, non temer che i Fauni ,
Privi del dono usato ,
Con brutto ceffo irato
Ti facciano terror.
Io so che il bosco è pieno
D’ insidiosi Numi;
Ma So che ne' tuoi lumi
Abita un Dio maggior.
pagina 35
Hos flores majus primos mihi protulit; his tu
Cinge tibi pulchras, nympha venusta, comas.
Numinibus nemoris flores donare solebam
Vere novo; sumat, quae mea Diva nova est,
Hoc donum Irene. Quibus annua dona negavi,
Non cibi Faunorum turba proterva metum
Iniiciat. Tu sperne minas, informiaque ora,
Intuitusque feros. Numina multa nemus
Insidiosa tegit: divi sed gratia vultus
Ostendit, numen majus inesse tibi.
pagina 20
Non t' accostare a l' Urna,
Che l' ossa mie rinserra,
Questa pietosa terra
E' sacra al mio dolor.
Odio gli affani tuoi:
Ricuso i tuoi giacinti.
Che giovano a gli estinti
Due lagrime, o due fior?
Empia! Dovevi allora
Porger mi un fil d’ aita
Quando traea la vita
In braccio de i sospir.
A che d’ inutil pianto
assordi la foresta?
Rispetta un’ Ombra mesta
E lasciala dormir.
pagina 21
Haec pia terra, meum te non stimulare dolorem,
Terra tegens gelidi corporis ossa jubet.
Huc nunquam accedas . Hyacinthos ipse recuso,
Quos mihi fers, lacrymas ipse recuso tuas.
Non flore, aut lacrymis exanguia membra juvantur;
Quid modico tumulum spargere flore cupis?
Quid paucis opus est lacrymis? Dum flere videbas,
Impia, me vivum, debueras aliquam
Tradere opem vivo; mutos requiescere manes
In tumulo liceat; sollicitare meos
Fas cineres, fas haec turbare silentia non est:
Sylva silens somnos det mihi posse sequi.
pagina 20
Il cagnolin vezzoso
pagina 21
Formosam catulus liquit formosus amicam;
pagina 20
O Platano felice,
pagina 21
O felix, quotquot conspexi surgere in auras,
pagina 20
Tacete, o versi miei,
pagina 21
Carmina conticeant, nil carmina posse, fatemur;
pagina 20

A Dori, che prende le acque di Recoaro. Canzonetta.

Or che le medich' acque
pagina 21
Nunc medica Doris lympha recreatur. Amores
pagina 20

A Dori, che prendendo le acque andò al passeggio, e fu sorpresa dal vento. Canzonetta.

Dunque Costei non bada
pagina 21
Sic medico jussu neglecto deseris aedem,
pagina 44

A Dori risanata dopo le acque. Canzonetta.

Su l' ara d' Esculapio
pagina 45
Nunc gemina Phoebi donetur turture natus:
pagina 46

A Nice in villa, perchè si renda alla Città. Canzonetta

Bianchieggia il piano, e il monte
pagina 47
Albescunt montes, albescunt prata pruinis;

SCELTA DEI SONETTI.

[Page 54]

Di Giacomo Vittorelli

pagina 54

Essendo eletto canonico arciprete di Bassano il signor Abate Golini, il quale da Gesuita educò l' Autore in Brescia.

Questa, che l' aure molce, e per cui sono
Tra cantori Febei cantor non vile;
Questa, che a me risponde in vario stile
Aurea cetra, o Golin, questa è tuo dono.
Tu m' insegnasti a ricercarne il suono
De gli anni miei sul giovinetto aprile,
Ed or che a te si affida il patrio ovile,
Di festosi amaranti io la incorono.
Oh me beato, se quest' alma impetra,
Tolto ogni neo, che il suo candore appanna,
Di seguir i tuoi passi infino a l' etra!
Ore, gustando teco ambrosia, e manna,
Tu darai nuove corde a la mia cetra,
E la mia cetra a Dio novelli Osanna.
pagina 55
Qua vates inter numeror non ultimus, auras
Quae mulcet, varios quae mihi pulchra sonos,
Dat cithara, est munus, mihi quod, Goline dedisti;
Praebebas juveni tu documenta mihi;
Tu me vocali cithara resonare docebas:
Hanc mihi nunc vivax, hanc amaranthus olens
Nunc mihi circumdet; dum te sibi patria poscit
Pastorem, et proprium credit ovile tibi.
Demptis, quae poterant animi fuscare nitorem,
Si dabitur maculis te super astra sequi;
O me felicem! quae tunc ego gaudia carpam!
Tecum ego gustabo nectar, et ambrosiam.
Tu mihi tunc citharae chordas renovabis; et hymnos
Caelicolum Regi porriget illa novos.
pagina 54

L' Autore a Bassano sua Patria

Che fiume è questo di bei colli adorno,
E di gran ponte, che raffrena l' onde,
Su le cui vaghe ed onorate sponde
Jacopo nacque, e Ferracino un giorno?
Che gente è questa, a cui più liete intorno
Ridono le campagne, e più feconde;
Ove il commercio animator diffonde
L' operoso suo genio, e vuota il corno?
Che cielo è questo, in cui vapor non sale
Tetro, maligno; e in cui su lievi piume
Trascorre dolcemente aura vitale?
Quante grazie ti rendo, amico nume,
Che pietoso segnasti al mio natale
Questo ciel, questa gente, e questo fiume.
pagina 55
O Flumen pulchris ornatum collibus, arcu
Cui pons ingenti claudere non dat iter; Note: 19
Cujus Jacobo, Ferracinoque venusta
Natalem dederat ripa videre diem!
O pia Gens, fructus cui terra ministrat opimos,
Ad quam tot merces gens peregrina trahit;
Tam varias pleno merces cui copia cornu
Suppeditat, sibi quas gens peregrina petit!
O Aether, nos qui mulces vitalibus auris,
Cui pravi labes nulla vaporis inest!
O Gens, o Aether, flumenque, o grandia dona, Note: 20
Quae mihi, quae Patriae Di tribuere meae! Note: 21
pagina 56

All' applauditissimo Sign. Ab. Parise, che andava a predicare in Roma.

Vedrai, Parise, i lidi Tiberini
Di sculte logge, e di gran tempi onusti,
Albergo già de' fortunati Augusti,
E de' guerrieri cavalier Latini.
Vedrai cento famosi e peregrini
Monumenti de' secoli vetusti;
Le colonne, le terme, e i sacri busti
De' Pompei, de gli Scauri, e de Flamini,
E se l' aspro involò destin nemico
Le reliquie del foro, ove sì spesso
Tullio convinse il reo, salvò l' amico;
D' accusare il destin non t' è permesso,
Poichè de i rostri, e de lo stile antico
La reliquia miglior vive in te stesso.
pagina 57
Atria, caesareas aulas, et splendida tecta,
Quae Latii veteres incoluere Duces,
Templaque, Parisis, praeclari Tibris ad undam,
Caeteraque antiquae tot monumenta stupens
Aspicies Romae, Thermas, simulacra, columnas;
Jam tibi Pompejus, jam tibi Scavrus erit,
Jam tibi spectandus celeber Flaminius. Aevo
Sed si relliquiae disperiere fori,
Egregium Ciceronis ubi servavit amicos,
Criminaque objecit sontibus eloquium;
Ne doleas: periit rostrum, facundia prisci,
Vox tua dum superest, temporis haud periit.
pagina 56

Sonetto Pastorale.

Ora che teco in su l' erboso letto
Di questo ameno e rustico pendio
Sediamo, o pastorella, Alcone ed io,
Mentre pascola il gregge entro al boschetto;
Tu, che inesperta non conosci affetto,
Odi, tenera Nice, il parlar mio.
Due pastori or contempli, e un sol desio
Pensi che l' uno e l' altro accolga in petto.
Io miro il tuo bel labbro, e le tue chiome,
Nè cangio volto, nè mi batte il core;
E questa, o Nice, indifferenza ha nome.
Or volgiti ad Alcon. Guarda il rossore,
Che tutto lo invermiglia. Osserva come
Palpita nel mirarti: e quello è amore.
pagina 57
In colle herboso tecum consedimus Alcon,
Atque ego, dum viridi grex manet in nemore.
Quae loquar, avdito: mollis te decipit aetas; (22)
Nos curam hic tantum credis habere gregis. (23)
Non ego amo, vultu tranquillo, candida Virgo,
Os qui formosum cerno, tuamque comam.
Prospice at Alconem, dum te videt ipse, rubescit;
Ipse amat; insolitus dat tibi signa rubor. (24)

Di Onofrio Minzoni.

pagina 58

Per Monaca.

Stolti stolti, fuggite: è giunta ormai
La saggia Verginella all' ara innante;
Entro un mischio di nuvole e di rai
Per man la tiene il suo celeste Amante.
Stuol d' Angeletti intorno a quel sembiante
E guizza, e vola, nè riposo ha mai
Chi l' umil fronte, chi le luci sante,
Chi gli atti ammira onestamente gai.
Già sovra l' ali un se ne scrisse il nome,
Un di fiori l' ha sparsa, ed un le ha tolti
I ricchi panni, e le increspate chiome.
Qual di bende la copre in cielo ordite,
Qual arpeggia, qual canta, e dice: stolti,
Qui sol regna virtù, stolti, fuggite.
pagina 59
Eja agite, amentes, templum vitate, profani;
Accessit sapiens virgo dicanda Deo.
Nubibus, et radiis cinctam caelestis amator (25)
Hanc tenet ipse manu, caelicolumque chorus
Exultat volitans, et vultum virginis ambit:
Laetitiam illius, laetitiaeque decus
Virgineum laudant; frontem probat ille modestam,
Hic mites oculos, purpureasque genas;
Ille sibi pennas praeclaro nomine signet
Virginis; hic multos in caput, inque sinum
Demittit flores; alius vestemque superbam,
Cincinnosque leves, (26) caesariemque manu
Subducit celeri. Delatis aethere vittis
Circumdat sacrum virginis ille caput; (27)
Exulat hinc vitium, virtus hic candida regnat;
Accessit sapiens virgo dicanda Deo;
Eia agite, amentes, templum vitate, profani,
Quidam ait; hic cithara personat; ille canit.
pagina 58

Essendo scelto a Protettore Degli argonauti di Ferrara il Cardinale Marcello Crescenzi.

Pianta che presso le tessalic' onde
Spiegasti in prima le ramose braccia,
E tratta poscia alle Romulee sponde
L' aria segnasti di odorosa traccia;
S' egli avverrà, che dell' eterne fronde
Onorato sudor degno mi faccia,
Da quel tuo nume, che le chiome ha bionde,
No, non le voglio, ed ei sel oda, e taccia,
Sulla ripa real dell' Eridano
Siede Marcel, che le virtù divine
Tutte dimostra nel sembiante umano.
Egli la cetra mi sospende al collo,
Egli di lauro fregerammi il crine,
Mio non bugiardo, e non profano Apollo.
pagina 59
Thessalicas primum quae ramos arbor ad undas
Umbriferis laetos frondibus extuleras,
Quae ducta ad ripas Romani Tibris odore
Signasti longas advena grata vias;
Aeternam capiti nostro si forte coronam
Te cogat noster suppeditare labor;
Non hanc ille Deus, flavam qui fertur habere
Caesariem, nobis praebeat; ille tuus
Audiat haec, abeatque Deus. Marcellus, amico
Numine qui ripas protegit Eridani,
Quem divina virum virtus exornat, et almo
Qui monstrat vultu numen inesse sibi,
Tradidit hanc citharam, lavrum concedat et ipse;
Nec lavrum tribuat vanus Apollo mihi.
pagina 60

Sullo stesso argomento avendo già ricevuto l' Autore dallo stesso Cardinale la Tonsura e gli Ordini.

La sacra man, che mi recise il crine,
E trastullo dell' aure il crin divenne,
Quella, che poi sulle mie tempie inchine
Con gran mistero aperta s' intertenne;
Dessa pur è, che la mia cetra alfine
Arma di corde, e 'l dosso mio di penne
Use a posarsi o sulle vette alpine,
O sulla punta dell' eccelse antenne.
Or dove sei tu, che riprendi il suono,
Che dolce io traggo dalle fila aurate,
Ed al franco mio vol neghi perdono?
Deh! cessa ormai dalle rampogne usate,
E riconosci infin, come non sono
Contrari nomi Sacerdote e Vate.
pagina 61
Sacra manus, crinem levibus quae tradidit avris,
De nostro sectus vertice qui cecidit:
Grandia quae referens mysteria rite patebat
Devotum Superis hoc super alma caput;
Ipsa dat hanc citharam nobis, alasque ministrat,
Queis juga praecelsi montis adire licet;
Antennasque cito raptas attingere fluctu. (28)
Quid mihi jam censor criminis obiicies;
Qui lenem rigidus cantum, citharamque solebas
Auratam, et velox arguere ingenium?
Ah sapias, vatem dictis ah [laedere] parcas:
An sacrum vates munus obire nequit?
pagina 58

Essendo scelto a Protettore Degli argonauti di Ferrara il Cardinale Marcello Crescenzi.

Pianta che presso le tessalic' onde
Spiegasti in prima le ramose braccia,
E tratta poscia alle Romulee sponde
L' aria segnasti di odorosa traccia;
S' egli avverrà, che dell' eterne fronde
Onorato sudor degno mi faccia,
Da quel tuo nume, che le chiome ha bionde,
No, non le voglio, ed ei sel oda, e taccia,
Sulla ripa real dell' Eridano
Siede Marcel, che le virtù divine
Tutte dimostra nel sembiante umano.
Egli la cetra mi sospende al collo,
Egli di lauro fregerammi il crine,
Mio non bugiardo, e non profano Apollo.
pagina 59
Thessalicas primum quae ramos arbor ad undas
Umbriferis laetos frondibus extuleras,
Quae ducta ad ripas Romani Tibris odore
Signasti longas advena grata vias;
Aeternam capiti nostro si forte coronam
Te cogat noster suppeditare labor;
Non hanc ille Deus, flavam qui fertur habere
Caesariem, nobis praebeat; ille tuus
Audiat haec, abeatque Deus. Marcellus, amico
Numine qui ripas protegit Eridani,
Quem divina virum virtus exornat, et almo
Qui monstrat vultu numen inesse sibi,
Tradidit hanc citharam, lavrum concedat et ipse;
Nec lavrum tribuat vanus Apollo mihi.
pagina 60

Essendo scelto a Prottetore de' Fluttuanti d' Argenta il Cardinale Corsini si allude all' Insegna e alle vicende dell' Accademia.

Nave, che fra l' orror di lampi e tuoni
Finor dolente e sconosciuta andasti,
Se pur non ti conobbero i Tritoni,
Che spesso mezzo naufraga invocasti,
Orsù restaura gli albori e i timoni,
Che teco porti inonorati e guasti,
Insulta i minaccevoli aquiloni,
Da cui più volte in van tregua implorasti,
Ecco apparisce, ecco le spume indora
L' Astro benigno: gli susurra accanto
La più tranquilla favorevol Ora.
Lieti potranno i tuoi nocchieri intanto
Sulla poppa sdraiarsi o sulla prora,
E Ninfe e Glauchi innamorar col canto.
pagina 61
Quas petere optabas, ripis incognita navis,
Cui turbata maris fecerat unda metum;
Cognita quae solis dudum Dis aequoris ibas,
Quos precibus iam iam naufraga saepe tuis
Excieras: ignes caeli, tenebrasque timentem
Quam nova zona poli, saevaque pressit hyems,
Despice adhuc nunquam mites, nunc despice ventos,
Nunc mali, nunc sunt vela novanda tibi. (29)
Jam nihil extimeas, quae te laesere, procellas,
Auratam lucem stella benigna parit.
Tempus adest aletum, dulci strepit avra susurro;
Festivo signum grata dat hora pede.
Nunc felix ito: stratus nunc navita vocis
Mulcebit Glaucum Nereidasque sono.
pagina 58

Essendo scelto a Protettore Degli argonauti di Ferrara il Cardinale Marcello Crescenzi.

Pianta che presso le tessalic' onde
Spiegasti in prima le ramose braccia,
E tratta poscia alle Romulee sponde
L' aria segnasti di odorosa traccia;
S' egli avverrà, che dell' eterne fronde
Onorato sudor degno mi faccia,
Da quel tuo nume, che le chiome ha bionde,
No, non le voglio, ed ei sel oda, e taccia,
Sulla ripa real dell' Eridano
Siede Marcel, che le virtù divine
Tutte dimostra nel sembiante umano.
Egli la cetra mi sospende al collo,
Egli di lauro fregerammi il crine,
Mio non bugiardo, e non profano Apollo.
pagina 59
Thessalicas primum quae ramos arbor ad undas
Umbriferis laetos frondibus extuleras,
Quae ducta ad ripas Romani Tibris odore
Signasti longas advena grata vias;
Aeternam capiti nostro si forte coronam
Te cogat noster suppeditare labor;
Non hanc ille Deus, flavam qui fertur habere
Caesariem, nobis praebeat; ille tuus
Audiat haec, abeatque Deus. Marcellus, amico
Numine qui ripas protegit Eridani,
Quem divina virum virtus exornat, et almo
Qui monstrat vultu numen inesse sibi,
Tradidit hanc citharam, lavrum concedat et ipse;
Nec lavrum tribuat vanus Apollo mihi.
pagina 62

Essendo eletto dal Popolo in Venezia un novello Piovano che fuor dell' usato non ebbe verun competitore.

Greggia, che di custode orba sen resta,
Ove sparger dovria lacrime amare,
Bolle sovente, romoreggia, e desta
Entro il bosco natio fervido gare.
O sacra verga, o maestosa vesta,
A troppi ingordi, oimì, siete voi care!
Ed a partirsi in duo la turba è presta,
Qual gonfio flutto in tempestoso mare.
Ond' è pertanto, che te solo or chiede
A suo duce, o Signor, la greggia intera
E che niun teco gareggiar si vede?
Ah! troppo il tuo l' altrui valore eccede:
Egli tutti inamora, o li dispera,
E lieto, o taciturno ognun gli cede.
pagina 63
Grex quam saepe sui custodis funus acerbum
Non ita sollicitis prossequitur lacrymis,
Ut lites abeant! sed certat garrula sylvam
Vox turbans, et pax deserit alma gregem.
Sacra fames multos pastoris poscere virgam
Dum cogit, tumidum turba agitata refert
Aequor, et impatiens studia in contraria fertur.
Cur sibi grex totus te cupit esse ducem?
Quid tibi tam pulcrum nemo contendit honorem?
Se tibi non aliquis judicat esse parem.
Quisque silens haeret, laetusque obtemperat; ac te
Sive amat, aut vinci te potuisse negat.

Di Pietro Metastasio

pagina 64

Sulla vanità della vita umana.

Sogni, e favole io fingo: e pure in carte,
Mentre favole, e sogni orno, e disegno,
In lor, folle ch' io son! prendo tal parte,
Deh del mal, che inventai, piango, e mi sdegno.
Ma forse, allor che non m' inganna l' arte,
Più saggio io sono? E l' agitato ingegno
Forse allor più tranquillo? O forse parte
Da più salda cagion l' amor, lo sdegno?
Ah che non sol quelle, ch' io canto, o scrivo,
Favole son, ma quanto temo, o spero
Tutto è menzogna, e delirando io vivo!
Sogno della mia vita è il corso intero.
Deh, tu, Signor, quando a destarmi arrivo,
Fa, ch' io trovi riposo in sen del vero.
pagina 65
Scribere quae soleo quid sunt nisi somnia? tangunt
Me tamen, ac iram subdola saepe mihi,
Saepe ciet largos, quam finxi, fabula fletus:
At vanis dum non decipior numeris,
Sumne magis sapiens? num mens tunc laeta quiescit?
Num non stultus amor, caeca nec ira mea est?
Non tantum fallit scribentem fabula vatem;
Mortales fallit quidquid in orbe vident.
Quid menti mea vita meae nisi somnia profert?
Illudit quidquid spemve, metumve movet.
Hos mihi post somnos frontem dent sidera veri
Cernere; tunc sapiens, tunc ego laetus ero.
pagina 64

Per Monaca.

Onda, che senza legge il corso affretta,
Benchè limpida nasca in erta balza,
S’ intorbida per via, perdesi , o balza
In cupa valle a ristagnar negletta.
Ma se in chiuso canal geme ristretta ,
Prende vigor, mentre se stessa incalza;
Al fin libera in fronte al Ciel s’inalza ,
E varia, e vaga i riguardanti alletta .
Ah quell’ onda son io, che mal sicura
Dal raggio ardente , o dall’ acuto gelo,
Lenta impaluda in questa valle oscura.
Tu , che saggia t’ avvolgi in sacro velo,
Quell’ onda sei, che cristallina , e pura
Scorre le vie, per cui si poggia al cielo.
pagina 65
Quae ripis fluit unda carens, sit limpida quamvis,
Et celso montis vertice prosiliat ,
Disperit huc illuc migrans turbata; vel, imam
Dum cadit in vallem, carpere nescit iter.
Sed qua per tutum prolabitur unda canalem,
It celeri cursu , vimque dat ipsa sibi;
Fluctibus urgentur fluctus , quos cernere suave est;
Et grato migrans obstrepit illa sono;
Nunc flexo ludens, nunc recto tramite pergit;
Nec cessat caelo liberiore frui.
Hic mea languescit virtus, fluvioque videtur
Consimilis , quem pars infima vallis habet;
Quem sol exsiccat, quem stringunt frigora; sed te ,
Dum tua sacrato vellere membra tegis,
Nobilis unda refert , caeli quae surgit ad auras;
Sic tu felici tendis ad astra via.
pagina 66

Per Monaca , ovvero per qualche illustre persona amante del ritiro.

Questo fiume real, che le bell' onde
Da illustre derivò limpida vena,
Non scorre aperti campi, o valle amena,
Ma fra concavi sassi il corso asconde.
Così non teme il Sol, se i rai diffonde,
E fa dell' ampia Libia arder l'arena;
Nè l'intorbida mai turgida piena
Di sciolto gel , che le campagne inonde.
E pago d' esser sì tranquillo, e puro,
Ogn' aprico sentier posto in oblio,
Va sol noto a se stesso , agli altri oscuro;
Spiegando col sommesso mormorio,
Che ad unirsi egli va lieto, e sicuro
All' immenso Oceano, onde partìo.
pagina 67
Nobilis hic fluvius placida {pulcherimus} unda,
Qui fluit illimi fulgidus e scatebra,
Non rure aprico, non vallibus errat amaenis;
Occultant queis it concava saxa vias;
Nec metuit solem, radiis dum jugera findit,
Et Libyae (32) vastos fervidus urit agros;
Nec timet ille nivem praerupto in monte solutam,
Quae ruat, et rapidis praedia inundet aquis.
Dummodo nil turbet cursum, nihil inquinet undam,
Progreditur soli cognitus ipse sibi.
Tectus it, at resonat festivo murmure, et inquit
Aequora, queis abii, rursus adire licet.
pagina 64

Per una dimostrazione anatomica .

Illustre mano a esaminare eletta
La spoglia , onde superbo è il nostro niente ,
Qual di te man più fida, e più perfecta
L' orme seguì, che le segnò la mente?
Vedete come il breve acciar lucente
Nelle latebre più riposte affretta ,
Dove la morte sqallida , e dolente
L' amaro dì del suo trionfo aspetta.
Ah se m' additi, quanto il nodo è frale ,
A cui s' attiene il fin de' giorni miei,
Il cor m' ingombri di terror mortale!
Ma quel che puoi, se mostri, e quel, che sei,
Veggo, che al fato il tuo saper prevale,
E acquisto più valor, che non perdei.
pagina 67
O quae scis partes humani corporis, et quae
Vincla ligant partes dinumerare manus;
Mira licet fragilis nos haec structura superbos
Efficit; haec nobis nota fit artis ope,
Quam tibi mens acris dictat. Quis calluit artem
Hanc melius? Quisnam tam bene quae latitant ,
Eruit, et cultro solers evolvit acuto?
Rimari latebras tam bene quis potuit
Sepositas , queis mors celatur lurida , donec
Approperet moesti funeris atra dies,
Qua tandem exultet victrix? Ostendere si vis,
Vita fluens nodo pendeat ut fragili,
Me trepidare facis; vim contra mortis acerbam
Quid tua vis valeat , pandere si libeat ,
Spes oritur, vincitque metum; sapientia praestat
Vim tibi , quae mortis vim superare queat.

Di Stefano Benedetto Pallavicini

pagina 72

Per la Accademia delle bell' arti in Roma.

Al braccio di colui, che tutto doma
Ove la falce mietitrice inarchi,
Ceduto, è veto[?], an le memorie, e gli archi
Pochi degli anni a sostener la soma;
Nè per l' ampie tue vie rasi la chioma,
E di catene, e di vergogna carchi,
Nè trascinati i Barbari Monarchi
Dietro a' Consoli tuoi più vedi, o Roma.
Pure agli onori, e alle vittorie nata,
Per farti eterna alle innocenti, e belle
Arti, che nudri in sen, possanza è data;
E in produr maraviglie ognor novelle
Qual già del Mondo trionfasti armata,
Così del Tempo oggi trionfi imbelle
pagina 73
Tempus edax, avido quod deterit omnia dente,
Resque secat victor praelia falce gerens, Note: 33
Roma potens, monumenta tibi raptavit, et arcus
Diruit, illorum nec timuit numerum.
Haud nunc barbaricos detonso crine triumphans
Pergere per plateas, compita perque vides
Edomitos bello reges, vinclisque gravatos;
Nec consul victos it tuus ante duces. Note: 34
Aeternam sed nunc pulchrae, quas excolis, artes
Te faciunt, sic tu saecula longa domas.
Olim enses poterant totam tibi subdere terram;
Aevum enses duri vincere non poterant.
pagina 74

Sull‘ indole vitrosa di Fille.

Pronta a spuntar le mattutine squille ,
Salutavano l' alba, e di letea
Rugiada sparse un lieve sonno avea
Le mie di lacrimar stanche pupille.
Nè dormia già , che in mille guisa, e mille
Deste nella mia mente Amor tenea
Le immagini del giorno; e mi parea
Di trovarmi per anche a piè di Fille
Piaceami sì, che con sospiri accesi
A' suoi vaghi rivolto occhi omicidi,
Qualche del mio servir mercè le chiesi.
Nascer a un tratto in lei pietade io vidi;
Usò dolci parole, atti cortesi ,
E ch' un sogno era il mio, da ciò m' avvidi.
pagina 75
Nocte abeunte (36) levis clausit mea lumina somnus ,
Languida quae multis torpuerant lacrymis.
Subrepens pingebat amor (37) mihi plurima, queis me
Tangebat vigilem: Phillida visus eram
Cernere suspirans, et longi praemia poscens
Obsequii; tristem ponere saevitiem;
Arridere (38) mihi Phillis, neque temnere amantem
Et blandas voces promere visa fuit.
Indicio hoc novi mihi somnum illudere; somno
Gaudia mox pulso disperiere mea.

Di Benedetto Menzini

pagina 74

Pittura.

Tolse all' Aurora i suoi purpurei fiori,
E il lor Zaffiro alle celesti rote,
L' oro de' crini al Sole, e alle remote
Cimmerie grotte i lor noturni orrori.
Tenebre, e viva luce, ombre, e fulgori
Indi temprò con arti a se ben note;
E sù tela erudita, ancorchè immote
Le immagini ebber moto, atti, e colori.
Alto stupore i riguardanti impiglia,
E intente alla si nobile fattura
Giove infin di lassù china le ciglia.
Tal con umana industriosa cura,
L' arte divenne amabil meraviglia;
E d' esser vinta s' allegrò Natura.
pagina 75
Splendorem rapuit stellis, avrique colorem,
Et soli radios, purpureumque decus
Aurorae vigili, latebrisque ars pulchra tenebras
Cimmeriis rapuit: candida lux tenebras,
Ac tenebrae nimium lucis cohibere vigorem
Dum certant, vitam subdola imago trahit (39)
Res varias pingens, aptisque coloribus aevi
Facta refert nostri, facta vetusta refert, (40)
Et quaecumque vident homines, motumque videtur,
Et muta voces exprimere in tabula.
Haerent attoniti, spectant qui talia, spectans
Talia de caelo Jupiter ipse stupet.
Egregiam, natura potens cui cedere gaudet,
Hanc artem solers protulit ingenium.
pagina 76

Architettura .

Io che le genti dissipate, e sparte
Raccolsi in lieti alberghi, e da selvose
Spelonche, e da montagne aspre e sassose
Le richiamai d' ozio civile a parte;
Io poi ben mille incontro al fiero Marte
Alzai ripari, e per le vie spumose
Le sonanti del Mare onde orgogliose
Rispinsi indietro, e le domai per arte.
Vada or Gradivo, e la sua face avventi,
E Nettuno di nembi, e d’ ira pregno
All' orrida congiura inviti i venti.
Schernir la forza, e disprezzar lo sdegno
Vedrem dei numi in terra, e in mar possenti
E in alta Rocca torreggiar l’ingegno.
pagina 77
Hirsutam, gentemque vagam juga celsa colentem,
Et nemora , et valles, antraque magnificis
Excepi hospitiis, civiliaque otia jussi
Ducere, et extruxi maenia , quae validam
Frangere vim Martis valeant, et valla locavi,
Et docui saevo ponere frena mari;
Spumantique via docui procedere pinum,
Vela tument, rostro scissa dat unda locum.
Mars ignem accendat belli, gravis ira, furorque
Neptuni ventos concitet , ipsa Deos
Arte coercebo terra , pelagoque potentes;
Arte mea fluctus arx premet alta maris.

Di Francesco Puricelli.

pagina 84

Per Monaca chiamata come pare, Giuditta.

Questa in tenera età forte Donzella,
C' oggi del Mondo trionfar si vede
E d' umil Chiostro a solitaria cella,
Mover con presti passi ardito il piede,
Di Betulia mi par la Vedovella,
O del suo nome, e di sua gloria erede,
Quando, compiuta l' opra illustre, e bella,
Tornava lieta a la paterna sede.
Ma quella per dar morte al suo Nemico
Abbandonò la mesta usata spoglia;
E ornò di gemme il crine, e il sen pudico.
Questa lo vince allor, quando s' invoglia
Di vestir rozze lane, e in Chiostro amico
D' ogni terrena vanità si spoglia.
pagina 85
Te, de fallaci quae daemone (54) laeta triumphas,
Et loca sollicito quae pede sacra subis,
Te victrix sua tecta petens fortissima Judith (55)
Hoste trucidato, clara puella, refert.
Illius aequiparat tua virtus inclita laudes;
Jure tibi nomen tradidit illa suum.
At crinem ornarat gemmis, pectusque pudicum,
Et sese nitidis vestibus induerat;
Signaque perpetui moeroris nulla gerebat,
Infandum ut ferro scinderet illa caput.
Hostem dum vincis, te contegit hispida vestis,
Et quae decipiunt gaudia cuncta fugis.
pagina 86

Femmina, che si vanta di saper innamorare, ed altro non sa che innamorarsi.

Lucrina di se stessa ognor favella ,
E vanta i pregi suoi più, che non lice ,
Con dir che sola tra le Ninfe è bella,
Qual sola tra gli augelli è la Fenice;
Che splende al par de l' amorosa stella,
E de la chioma in Ciel di Berenice;
Che strali avvegrta in questa parte, e in quella;
Ma ciò, tranne lei sola, altri nol dice:
Che al sol girar di sue pupille accorte
Fra mille affanni, e dolorosi omei
Già condotto à più d' un vicino a morte.
Io rido in ascoltarla; e giurarei,
Ch’ ella vaneggia, e che l’amor si forte,
Che va in altri sognando, è tutto in lei.
pagina 87
Garrula vult nunquam de se Lucrina silere;
Dat laudis , quantum non licet, ipsa sibi;
Et nymphas inter pulchram se judicat unam;
Unica sic Phoenix dicitur inter aves.
Ut Veneris fulget formosum sidus in axe ,
Vel Beronicei (58) verticis alma coma ,
Sic ait eniteo: quo pergo tramite, amoris
Excipiens telum plurima turba gemit.
Illi sed nemo vult hanc concedere laudem.
Se, dicit, multos , ipsa, dedisse neci;
Sola tamen dicit; se flammis urere (59) dicit,
Quem semel arguto, (60) viderit intuitu.
Quam digna est risu! nullos inspirat amores;
lpsa tamen diro saucia amore perit. (61)
pagina 86

Sogno di Femmina , che non si tiene troppo lontana dagli uomini.

Lilla mi disse un di: che fatto avea
Un sogno stravagante oltre misura;
Esser tutta di vetro le parea,
E gli Uomini di sasso aver figura.
E mentre in sogno un tal pensier volgea,
Ogn’ incontro fugia con somma cura,
Nè che se gli appressasse alcun volea,
Che di cadere infranta avea paura.
Anzi desta di poi gran pena ancora
D' un tal sogno le fea l' immagin vana;
Io sorridendo le risposi allora:
O buon per te, se vision si strana
Ancor vegliando ti durasse ogn' ora;
Che staresti dagli Uomini lontana.
pagina 87
Sic, dum commemorat, quae somnia Morpheus illi
Subdolus attulerit, Lilla loquuta mihi est:
E fragili vitro constans mihi tota videbar;
Constantes saxo rebar adesse viros .
Diffringi metuens nolebam tangere quemquam;
Nunc quoque vix tanto libera vivo metu. (62)
Subridens retuli: vigilem Di talia cogant
Credere te , cupias ut procul esse viris.
pagina 88

I travagli d’ Orfeo in grazia della Moglie.

Poichè tolse ad Orfeo l’ invida Parca
La diletta Euridice, egli non teme
Por il pie negli abissi, e gire insieme
Con l’ ombre ignude ne la stigia barca .
Del rigido nocchier, che il ciglio inarca
Al nuovo pondo, e alto minaccia, e freme ,
Tempra l’ ire coi carmi, e pien di speme
Tocca la cetra; e il negro fiume ei varca.
E sceso di Cocito a l’altra riva
Scorre le piagge de l’eterno pianto ,
Finché di Pluto a la magione arriva.
Ivi Cerbero placa , indi col canto
Ottien, che torni la sua Donna viva,
Per una Moglie chi faria mai tanto?
pagina 91
Non Orci timuit fauces Orpheus adire ,
Quam subit umbrarum turba , subire ratem
Non timuit, manes postquam descendere ad imos
Mors fera dilectam jusserat Eurydicen.
Insolito pressam cernit dum pondere cymbam
Nauta ferox tollit triste supercilium;
Et minitans multis implet clamoribus auras,
Carmina sed rigidum continuare senem;
Plurima continuit citharae vis. Flumine vates
Iam vehitur nigro; littora maesta (63) premit:
Muneribusque canem latrantem flectit, et audax
Regia tecta petens postulat Euridicen .
Euridicen domitus cantu rex tradidit illi,
Quisnam adeo cupidus coniugis esse velit?
pagina 90

Amore obbligato a ferire con nuovi dardi.

Stanco di saettare Amore un dì
Sul margine d' un rio si riposò,
E per qualche ragion, che dir non sò,
Amor , che veglia sempre, allor dormì.
E mentre cheto egli dormia così,
Una Vecchia bruttissima passò ,
Chiamata l’Avarizia, e a lui cangiò
L' arco, e gli strali d’oro, e poi fuggì.
S' avvide Amor, quando svegliato fù,
Che quell’ armi tremende più non à:
Che di piagar i Numi avean virtù.
Disperato ne piange; e d’ indi in qua
Amor non è più Amor , nè fere più,
O sol con l’ armi d’ Avarizia il fa.
pagina 89
Fuderat immitis quamplurima tela Cupido;
Sed somno tandem languida membra dedit
Fluminis in ripa fessus. Foedissima vultu
Tunc vetula accessit nomine avarities;
Et rapuit fugiens auro fulgentia quotquot
Tela tenebat amor , cui nova tela dedit.
Ut puer evigilans novit procul esse sagittas,
Vindicibus crebro quae nocuere Diis,
Perditus incassum flevit; nunc laedere nescit;
Vel tantum telis laedit avaritiae.

Sonetti pastorali

pagina 90

Sul merito della costanza.

Tu stupisci, Euristeo, perchè tra tanti
Arbor diversi, che ne diê Pomona,
Il Nespol tardo di produr si vanti
Suoi frutti adorni di regal corona?
Questo, se al Sole, o a quell' aspetto il pianti,
D' onde i freddi Aquiloni Eolo sprigiona,
O in terren secco, o pur tra le stagnanti
Acque, il natìo vigor non abbandona.
Del Giardinier non chiede industre cura,
E a l' inguiurie de tempi il forte legno
Nutre i suoi pomi, e la corteccia indura.
Tal, chi d' avverso Ciel soffre lo sdegno,
Nè virtù perde, e i bei pensier matura,
Quegli è l' Uom saggio, e di corona è degno.
pagina 91
Plantarum ex numero magno, quas terra ministrat,
Eurysthee, stupes, mespilus alma suis
Quidnam serta paret seris gratissima pomis?
Haec tempestatum temnere saevitiem
Planta scit, illius didicit durescere cortex;
Nil a sole sibi, nil timet a pluviis. (66)
Illa paludosas inter non disperit undas,
Littora non illam sicca perire vident.
Non metuit boream, non frigora, sponte virescit;
Agricolae curam nec nimis illa petit.
Sic dubiae sortis qui scit tolerare rigores,
Cui firmam virtus inclita vim tribuit,
Qui sapit, et constans urget quod promere caepit,
Illius cingat pulchra corona caput.
pagina 94

Risposta d‘ un Pastore ad una femmina poco bella troppo occupata ad abbellirsi .

Il pastorel Carino ogni pensiero
Posto in un Capro avea di negro vello,
Che di sua greggia era il più forte, e snello,
Ed ogn’altro vincea col corno altero.
Pazzerel gli era intorno il giorno intero ,
Per farlo bianco , e renderlo più bello:
Spesso il lavava a un limpido ruscello,
Ma lavandolo più, lo fea più nero.
Clori, che giunse, e rimirollo attenta
Disse: quest’ opra tua nulla ti frutta ,
Perchè il Capro più nero ognor diventa,
Il Pastor le rispose: e tu ben tutta
Stai la mattina ad abbellirti intenta,
Pur ti veggo ogni dì sempre più brutta .
pagina 95
Carini quo non aderat przstantior alter Note: 70
In grege , Carini maxima cura caper
Ludebat cornu insignis, saltuque procaci.
Insanus tota pastor adesse die
Tam dulci capro, fluvioque lavare solebat
Nigrantis pellem , nigra sed usque magis
Lana fuit capri. Cloris dum talia cernit,
{Nel} peragis, dixit, fit magis ipse niger.
Tu vestem toto componis mane, comamque
Pastor ait, forma sed minus usque places. (71)

Di Eustachio Manfredi

pagina 94

Per la professione d' una Monaca.

Qual' uom, che per trovar scoscesa, e torta
La via, pur non s' arresti, e il cammin segua,
Perchè speme l' aita , e lo conforta
A gir fin là, dov' il sentier s' adegua;
Così costei, non perchè dura ha scorta
Sua grande impresa, al buon desir fa tregua ,
Ma si forte ei la preme, e la trasporta,
Che al fin da gli occhi altrui pur si dilegua.
Gran tempo è già, che generosa il piede
Pose , ov’ altri smarrirsi ha per usanza,
E rare pel sentiero orme già vede;
Pur poco quel, che scorse, e quel che avanza
Poco ella stima ancor, se al desir crede;
Sì dolce de la meta è la speranza.
pagina 95
Aede sua quandoque procul salebrosa viator
Ut loca conscendit, nec revocare gradum
Cogitur, emineat quamvis mons arduus, et quas
Optat adire plagas, nocte dieque petit;
Femina sic duro non haec defessa labore
Incoeptum validis viribus urget opus.
Tam cito progreditur quo tramite pergere coepit,
Ut praereptam oculis cernere non liceat
Illa viam subiit , fuerat quae cognita paucis,
Et jam rara pedum signa relicta notat.
Tum lustrata viae pars illi parva videtur,
Tum pars parva viae, quam superesse videt.
Indulget votis audax, atque ardua spernit
Nil dulci meta dulcius esse putans.
pagina 96

Se sia più malagevole mantenersi l’ altrui amore, che aquistarselo problema proposto nell' Accademia de' Gelati .

Storge ilbuon cacciator da sua capanna
Augelin vago, e vuol' uscirne in traccia,
E dietro a lui, ch' errando oltre si caccia,
Per dura alpestra via suda, e s' alfanna.
E tal con l' occhio il siegue, e si procaccia
Oprando or laccio,or rete , or vischio , or canna ,
Che pure al fin lui mal’ accorto inganna ,
E lieto l’imprigiona, e il piè gli allaccia.
Ma sì con unghia, e rosrro ei s' affatica,
Che sciolti i nodi, e rotto il carcer tristo,
Batte le penne inver la selva antica;
E il meschin piagne, troppo tardi avvisto ,
Che sua preda serbar cura, e fatica
Più grave era per lui del primo acquisto.
pagina 97
Pulchram venator volucrem dum prospicit, illam
Vult capere , et tecto sedulus egreditur.
Illa fugit, profugam sequitur tamen ille, locumque,
Quem petiit, cupido detegit intuitu.
Sudat sollicitus montis per devia pergens,
Et visco, canna, retibus, aut laqueis,
Donec captetur, salientem decipit; haerens
Implicito tandem subsidet illa pede.
Vincula sed rostro diffringit, et ungue , nemusque
Antiquum penna praepete tuta petit.
Major erat retinere labor, quam quaerere praedam;(72)
Nunc hoc, sed sero, dum, videt ille , gemit.
pagina 98

Sentimenti di stima verso una Donzella.

Vaga Angioletta , che in sì dolce, e puro
Leggiadro velo a noi dal Ciel scendesti,
Ed or beando vai quest' aure, e questi
Colli, che di tal don degni non furo;
Per quella man, per quelle labbra io giuro,
Per quei tuoi schivi atti cortesi, onesti,
Per gli occhi, onde tal piaga al cor mi festi,
Che già morronne, e sorte altra non curo;
Sebbene gelosia del suo veneno
M’ asperse, mai non naque entro il mio petto
Pensier , che al tuo candor recasse oltraggio;
E se nube talor di reo sospetto
Alzarsi osò, per dileguarla appieno
Del divin volto tuo bastò un sol raggio.
pagina 99
O quae venisti formae celebranda nitore ,
Ceu nube, aut velo corpore amicta latens
Ad nos de caeli regionibus , alma puella ,
Hos modo quae colles, haec modo rura beas,
Ah rura, et colles non tali munere dignos ,
Ipse per os pulchrum , juro, tuasque manus ,
Perque oculos , vocemque tuam, morumque decorem,
Fecisti intuitu vulnera tanta tuo,
Ut moriar certe, nec sit mihi vivere gratum.
Sed me quantumvis torserit acer amor,
Ullam non tribui labem tibi criminis unquam,
Vel si mens aliquid visa timore fuit,
Mox frontis lux ista metum cogebat abire:
Sic nebulae fugiunt, sic levis umbra fugit.

Scelta dei Sonetti pubblicati per la morte dell' Abate Francesco Puricelli.

pagina 100

Di Arsillo Calavriense P. A.

Se perchè nostro duol si tempri in parte,
pagina 101
Ut quaedam dolor accipiat solatia noster,

Sonetti Per la morte d' Eustachio Manfredi

pagina 108

Atelmo, o sia il Marchese Ubertino Landi.

Dov' è Mirtilo, ed Aci? Invano ognora
pagina 109
Acis ubi est? Mirtilus ubi? me vana cupido
pagina 112

Cluento Nettunio, ossia Arciprete Gierolamo Baruffaldi.

Questa eccelsa Piramide, ch' io pianto
Sul destro fianco de l' ingordo Reno,
Dove la Città sorge, in sito ameno,
Che per scienza è gloriosa tanto;
Io quì innalzo a questo fiume accanto,
Per suo dispetto, e suo terror non meno,
Che per su' eterno insuperabil freno
Da rattemprar le antiche furie alquanto.
Aci coll' ombra sua, che già disperse
Quest' Acque, altre fiate, e che da pria
L' incostanza di lui vinse, e scoperse;
Far potrà, che qualor nuova follia
Lo prenda, le pupille in lei converse
Freni 'l su' orgoglio, e al Mar s' apra la via.
pagina 113
Hic ubi Palladijs studijs urbs inclita surgit
Ad Rheni ripas hanc ego pyramidem
Constituo, ponat quae frena voracibus undis.
Hanc vinclis olim presserat Acis aquam.
Illius hanc solum nomen nunc frenet; in aequor
Illius audito nomine Rhenus eat. Note: 90

Avertenza del traduttore.

Avendo io fatto la scelta dei sonetti qui tradotti senza aver tralasciato di stamparne l' originale Italiano, ho ben potuto indirizzare agli Italiani in lingua Italiana il frontispizio, e la prefazione.

pagina 114

Adnotationes.

Note: (76) Hic funebria quaedam subjunxi; sed nemo propterea judicet, id mihi ingenium esse, ut funebria caeteris anteferam. Accidit enim , ut Eustachii Manfredi, et Francisci Puricelli scripta legens inciderim in ea, quæ vates aliquot horum in morte conscripserunt, ex quibus ea jure merito non esse prætermitenda duxi quae poterant elegantiae causa placere.
pagina 125
pagina 127

Ex versibus Antonii Sivrich quaedam alia.

Ad praestantissimam pulchritudine feminam.

Si grajas inter pictor te forte puellas
Vidisset Grajus; (a) sufficit ista mihi;
Non alia est pulchri pictor dixisset imago;
Haec est ipsa Venus, pulchrior aut Venere.
Note: Notum est, grajum pictorem, cum pingere Venerem vellet, multas pulchritudine praestantes puellas inspicere voluisse, ut ex tot pulchris unum aliquid pulcherrimum effingeret.

Ad eamdem.

Forte aliam post plura parem tibi saecula finget;
At natura nequit fingere quid melius.

In ima reductae vallis parte locus erat protensa rupe tectus a vento pluviisque tutus. Qui Phillidem huc adduxerat, ut improvisam insurgentis nimbi vim evitaret, humum pedo signavit inscribens epigramma, quod sequitur.

Phillidis hic maneat signatus nomine pulvis;
Cura sit, has, hospes, non violare notas.
His euri parcent, his te quoque parcere fas est;
Ni vento, ac nimbis saevior esse velis.
pagina 128

Quid rarum florem carpenti nymphae Pastor dixerit.

Carpenti nymphae rarum sub gramine florem
Terra novos flores dat tibi pastor ait.

Ad speciosam feminam sine naevo depictam, qui naturae dono faciem illius pulcherime exornabat.

Luminibus careat quisquis te pinxit , et istum
Non pinxit naevum , quem venus ipsa dedit.

Ad puellam, quae joci causa {floscolum} labiis aprehensum gerebat.

Non satis est pulcher, tam pulchro dicere ut ore
Enatum florem, quem geris ore queam. (a)
Note: Sive.
Non satis est pulcher: labiis ut dicere natum
Ipse tuis florem, quem geris ore, queam.
pagina 129

Il passeggio di Savioli

Già già sentendo all' auree
Briglie allentar la mano
Correan d’Apollo i fervidi
4Cavalli all’oceano.
Me i passi incerti trassero
Pel noto altrui cammino,
Che alla città di Romolo
8Conduce il pellegrino.
Dall’una parte gli arbori
Al piano suol fann’ombra,
L’altra devoto portico
12Per lungo tratto ingombra.
La tua, gran padre Ovidio,
Scorrea difficil arte,
Pascendo i guardi, e l’animo
16Sulle maestre carte;
Quando improvviso scossemi
L’avvicinar d’un cocchio,
E ratto addietro volgere
20Mi fece il cupid’occhio.
Su i piè m’arresto immobile,
E il cocchio aureo trapassa,
Che per la densa polvere
24Orma profonda lassa.
Sola su i drappi serici
Con maestà sedea
Tal che in quel punto apparvemi
28Men donna assai che Dea.
Più bello il volto amabile,
Più bello il sen parere
Fean pel color contrario
32L’opposte vesti nere.
Tal sul suo carro Venere
Forse scorrea Citera,
Da poi che Adon le tolsero
36Denti d’ingorda fera.
La bella intanto i lucidi
Percote ampi cristalli;
L’auriga intende, e posano
40I docili cavalli.
Tosto m’appresso, e inchinomi
A quel leggiadro viso,
Che s’adornò d’un facile
44Conquistator sorriso.
Amor, di tua vittoria
Come vorrei lagnarmi?
Chi mai dovea resistere,
48Potendo, a tue bell’armi?
In noi t’accrebbe imperio
La destra man cortese,
Che mossa dalle Grazie
52A’ baci miei si stese.
Risvegliator di zefiri
Ventaglio avea la manca,
Onde solea percotere
56Lieve la gota bianca.
Ne’ moti or lenti, or rapidi,
Arte apparía maestra;
Lo Spettator dell’Anglia
60Così le belle addestra.
O man, che d’Ebe uguagliano
Per lor bianchezza il seno,
Ove fissando allegrasi
64Giove di cure pieno.
Forse sì fatte in Caria
Endimíon stringea,
Quando dal carro argenteo
68Diana a lui scendea.
Quei vaghi occhi cerulei
Movea frattanto Amore;
Rette per lui scendevano
72Le dolci note al core.
Come potrei ripetere
Quel ch’ a me udir fu dato?
Dal novo foco insolito
76Troppo era il cor turbato.
pagina 134

Appendix A Errata.

pag. 17. Vers. 21 jacrymae lege lacrymae


Croatiae auctores Latini; Universitas Zagrabiensis, Facultas philosophica